Una donna in carriera

Che fatica essere una donna che lavora! Chissà perché, proprio in un afoso pomeriggio agostano, chiusa in uno studio semi deserto, mi viene in mente un pensiero simile?

Immagino sia perché ho appena chiuso l’ennesima telefonata dove, pur essendomi qualificata con il mio titolo di avvocato, sono stata chiamata indefessamente signora, dottoressa o segretaria.

Pur incurante del titolo, non posso non soffermarmi a pensare a quanta fatica si faccia a riconoscerlo ad una giovane donna (il praticante di studio invece è Avvocato per tutti).

Se rispondi al telefono sei una segretaria, se porti una 24 ore in Tribunale sei una praticante, se apri la porta per ricevere i clienti sei una signorina. Altre colleghe mi hanno confermato il non poco diffuso fenomeno sociologico.

Il problema è che, a discapito del tanto parlare di parità di sessi ed emancipazione, il mondo del lavoro è uno degli ambiti in cui, ancora, queste parole fanno fatica a farsi spazio e a divenire realtà.

E non consideriamo neppure la problematica della donna-mamma-lavoratrice!

Vedo i colleghi uomini che possono permettersi di stare h 24 in ufficio (non lo considero un lusso, sia chiaro!), mangiano un panino, vivacchiano in studio e poi, a ora di cena, tornano al loro nido, accuratamente sistemato dalla compagna di turno (se non dalla domestica). Mai che li veda angosciati dall’idea di “cosa cucinerò a pranzo?” “farò in tempo ad andare a fare la spesa?” “devo andare a prendere i bimbi all’asilo!”.

No, loro sono dediti al lavoro e a ricavare le massime soddisfazioni, anche economiche, dal titolo faticosamente sudato che si sono presi.

Peccato che sia il tuo stesso titolo ma che poco vale quando, dopo 9 ore in ufficio, sembra quasi doverti giustificare quando sgusci fuori dallo studio e corri verso il primo supermarket aperto per procacciare il rancio per la famiglia.

Il nostro tempo a disposizione è indubbiamente più ridotto, e se non possiamo permetterci di plasmarlo un minimo alle esigenze della vita privata, qualcuno deve pur farne le spese. Prima fra tutte la nostra salute!

In questo, mi sento di dire, tristemente, che tra capi uomini o donne, non c’è tanta differenza: se non hai da dare la vita al lavoro in pochi ti vogliono. Se poi è solo ventilata l’idea della famiglia e dei figli, apriti cielo!

Non voglio dipingere un quadro solo a tinte fosche: la differenza, come al solito, la fanno l’intelligenza e la sensibilità personale di ciascuno. Ho conosciuto anche persone così, però, ad onor del vero, sono ancora troppo poche. E noi donne siamo ancora troppo poco valorizzate.

J.

 

 

 

 

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