Quinoa e Chanel 1

Ormai non si desidera più niente. Desiderare nel vero senso della parola: quando all’oggetto del desiderio ci pensi e ripensi e vorresti fosse tuo. Studi dei piani d’azione e fai sacrifici perché questo avvenga.
Non parlo di desiderio tra persone, anche se questo è parecchio agevolato (o facilmente agevolato) dal proliferare dei social, ma delle cose.
Se non proprio nuove, come seconda mano, ci si può permettere quasi tutto e, a metà del prezzo originale, puoi portarti a casa una dignitosa Chanel o una iconica YSL. Capi d’abbigliamento, scarpe, borse , vestiario… un’orgia di cose che girano di mano in mano, delle volte così velocemente da non rendersi conto di averle effettivamente possedute. Ci si stanca alla velocità della luce ed ecco che, magicamente, l’oggetto che tanto avevi desiderato, finisce, svalutato, nelle mani di qualcun’altro che, forse, lo userà per almeno un anno, altrimenti lo metterà sul mercato nel giro di pochi mesi.
Anche per i bambini vale la stessa cosa. Ormai accontentare il pargolo è molto più facile del passato, quando i “bei regali” erano riservati alle feste comandate. Ora è un continuo comprare: piccole cose, oggettini, giocattoli, accessori più o meno utili, nella certezza che, dopo qualche mese, se ne potrà comunque ricavare qualche euro.
Lungi da me puntare il dito, siamo tutti, chi più chi meno, vittime del sistema. E se non sono i vestiti sono i viaggi low cost, che compriamo anche nell’incertezza di partire, o i telefoni smartphone, cambiati ogni sei mesi. Gli altri esempi aggiungeteli voi.
Io credo che, in chi ha più di trent’anni e sia cresciuto con i racconti genitoriali “ai miei tempi si giocava con le biglie e il pallone era di stracci”, tutto ciò sia vissuto con un misto di godimento e senso di colpa.
Possediamo tutto ma non sempre siamo felici. Ed è per questo che, frequentemente o sporadicamente a seconda dell’indole delle persone, rincorriamo il mito del “poco”.
Accade allora che, come novelli San Francesco, propagandiamo la bellezza della sobrietà e dei sacrifici che temprano il carattere. In genere, il passo successivo, è comprare ai bambini solo giochi in legno che si ispirano al passato, la trottola o il kit per cucirsi da soli la bamboline di stoffa, mentre gli adulti, vestiti in braghe di cotone organico e sandali francescani si sporcano le mani negli orti condivisi per procacciarsi, con il “fino ad ora sconosciuto” sudore della fronte, un paio di pomodori BIO da aggiungere all’insalata di riso integrale e quinoa.
I bimbi passano le vacanze nelle fattorie didattiche dove gli si insegna a godere della visione della gallina che depone le uova e i genitori, bisacce multicolori in spalla, si premiano partecipando ad una conferenza sul riciclo.
Il popolo devoto al dio del consumo marcia affianco al buon agricolo, non senza vicendevoli contaminazioni. Le cose accumulate non ci appagano mai abbastanza ma ormai abbiamo già perso la purezza per poter tornare a godere veramente della semplicità della vita. L’asticella è stata alzata molto in alto, le futilità sono diventate bisogni. Ci si considera poveri se non si va in vacanza due volte l’anno e si dichiara di non arrivare a fine mese pur possedendo due macchine e uno scooter.
Servono sempre più soldi, serve lavorare sempre di più, serve sacrificare sempre più tempo libero. Tutto serve a diventare servi.
Forse tutto questo è la naturale conseguenza del nostro essere “doppi” e della coesistenza (conflittuale) di aspetti contrapposti della nostra vita.
Parlando di dualismo e di contrapposte visioni di vita, voglio citare un libro che ho letto da poco e molto amato: “Una storia comune” di Ivan Gončarov, dove al giovane provinciale Aleksandr si contrappone lo zio Pjotr pragmatico capitalista.
Aleksandr (…) Seduto per ore sulla terrazza a osservare l’alba o il tramonto, ad ascoltare il cinguettio degli uccelli, il mormorio del lago e il ronzio di invisibili insetti.
“Mio Dio, come si sta bene qui, lontano dalla vanità, da quella vita cavillosa, da quel formicaio in cui gli uomini non respirano il fresco mattutino dietro i recinti, nè il profumo dei prati a primavera…Come si riposa lo spirito qui, in questa vita semplice lontana dalle complicazioni”
(…)Sedeva in silenzio alla finestra e guardava con indifferenza i tigli paterni, ascoltava con dispetto il mormorio del lago. Si mise a meditare sulle ragioni di quella nuova ansia e scoprì che aveva un nome: Pietroburgo…
J.

One comment on “Quinoa e Chanel

  1. Reply Greta Set 8,2016 00:04

    Cara Jo,
    che blog carino con questo nuovo look!
    Per il resto…tutto vero, sei proprio un grillo parlante,lo credo che ti hanno lanciato il martello ai tempi togati!
    Un sano equilibrio sarebbe la soluzione ma non può essere uguale per tutti,dipende dalle nostre radici,dal nostro vissuto e dal nostro cuore.
    Il massimo sarebbe andare a pascolare capre con barbour e hunter!

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