Ritorno al passato

Mai come in questi giorni avverto uno scollamento spazio-temporale che, partendo dalla mia vita, sembra investire, per intero, quella di tutte le donne. Credo sia perché mi capita spesso, vuoi in tv vuoi nei libri che leggo, che si parli della condizione femminile di mezzo secolo fa, e mi viene da trasalire perché sembra che si parli di me, di noi, oggi.

Una condizione immutabile e così sclerotizzata che è quasi possibile riassumerla in un unico schema che diverge solo nell’assunto iniziale per poi giungere, spesse volte, alla stessa conclusione: siamo indietro rispetto agli uomini, ai colleghi, al marito. Per ’emergere’, e qui il termine è genericamente inteso dal ‘raggiungere le vette del successo a ‘il portare la pagnotta a casa’, è necessario faticare il doppio, il triplo, scalando la montagna sociale con sulle spalle lo zaino della famiglia, dei figli, della casa. Le rivendicazioni femminili sembrano una posa da nostalgiche, da femmine che si piangono addosso, che vogliono tutto battendo i piedi come bambine: si attribuiscono alle donne posizioni di privilegio sociale, anche quando non lavorano e sono (costrette?) ad essere mantenute dai mariti. ” E chi sta meglio di lei”? , ci si chiede. E a chiederselo sono spesso le stesse donne, quelle che lavorano, e che invece di fare un fronte comune si fanno la lotta intestina dividendosi gli stracci su chi stia peggio o meglio. Stiamo tutte peggio perché per una Lei che sgobba come una schiava al lavoro, facendosi in quattro per far quadrare gli impegni e i conti, c’è una Lei che è schiava a casa. Un fantasma privato dell’autonomia economica e del riconoscimento sociale: se non lavori cosa sei? Chi sei?. “Cosa fai nella vita?” “La casalinga” “Beata te che hai tempo di stare con i tuoi figli e tuo marito”. Licenziati e stai  a casa anche tu, verrebbe da dire a chi continua a pensare che la vita da casalinga, aanche giorni nostri, sia, per la maggior parte dei casi, una scelta volontaria.

Elena Ferrante parla di due ragazze degli anni ’60 eppure ” Eravamo nati nello stesso ambiente, entrambi ne eravamo brillantemente usciti. Perché allora io stavo scivolando nel grigiore? Per colpa del matrimonio? Per  colpa della maternità e di Dede? Perché ero femmina e dovevo badare alla casa e alla famiglia e a pulire merda e cambiare pannolini?” sono riflessioni che si adattano anche a noi donne di quarant’anni dopo. Le interviste del programma ‘Le Ragazze’ su Rai Tre sono illuminanti: che si parli di ragazze degli anni ’30 come degli anni ’90 le parole spese per descrivere la propria condizione di donna sono sempre le stesse: la fatica doppia rispetto agli uomini per affrancarsi, farsi un nome, farsi prendere sul serio. I ricatti sessuali, le allusioni, lo scotto da pagare se si è troppo intelligenti o troppo belle, i pregiudizi se occupi posizioni di potere che in soldoni si possono riassumere in un’unica domanda “A chi l’avrà data?”, sono sempre gli stessi. Ed è sconfortante. Certo, essere donna ai giorni nostri è sicuramente meglio del secolo scorso: passi avanti ne sono stati fatti e ora, certe rimostranze legate all’uguaglianza tra sessi sembrano più ‘naturali’ che in passato, almeno sul piano formale. E’ infatti la concretizzazione di queste rivendicazioni che tarda troppo a venire. In mancanza di risposte da parte della società siamo costrette noi stesse a trovare un motivo che giustifichi questa nostra condizione sempre in affanno ed ecco che i principali bersagli sono il matrimonio ed i figli: da una parte colpevolizzandoci se non siamo in grado di far tutto (“Come facevano le nostre nonne? Erano più in gamba le donne di un tempo”) e dall’altro aderendo all’idea distorta che non si può far bene tutto e a qualcosa bisogna rinunciare. Comunque la si giri il macigno più grosso che le donne devono portare sulle spalle e proprio ‘La Colpa’ ed è la società che te la carica addosso per poi chiederti di fare il massimo per far finta di niente e vivere come se non fossi schiacciata da un peso enorme sulle spalle. Alle donne viene chiesto di vivere in una realtà  dove si deve essere capaci di vivere al passo con i tempi e al pari delle migliori aspettative che ci si crea  dopo lunghi percorsi di studi e di lavoro, ma allo stesso tempo come figure di quel passato in cui le donne erano dedite alla cura della famiglia, anche senza averlo scelto. In questo atteggiamento schizoide le donne vengono lasciate sole: non c’è più la famiglia di un tempo che forniva sostegno e aiuto, un sistema di zie e nonne che fungeva da supporto vicendevole. I nuclei famigliari sono ridotti all’osso, la ricerca di lavoro e di migliori condizioni di vita ha portato allo scioglimento dei grandi nuclei famigliari e sempre più spesso ci si trova soli a doversi costruire un futuro.

Sempre per citare la Ferrante “Una comunità che trova naturale soffocare con la cura dei figli e della casa tante energie intellettuali di donne, è nemica di se stessa e non se ne accorge”. Voglio credere che si arriverà ad un grado tale di civiltà per cui sarà la Società ad accorgersi delle infinite potenzialità femminili e a valorizzarle al meglio: temo solo che a noi contemporanee non sarà dato saperlo.

J.

 

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