Libero da morire

“Ero soltanto un ragazzo della working class proveniente da un ghetto nazionalista, ma è la repressione che crea lo spirito rivoluzionario della libertà. Io non mi fermerò fino a quando non realizzerò la liberazione del mio paese, fino a che l’Irlanda non diventerà una, sovrana, indipendente, repubblica socialista”.
 
Questa frase può essere considerata il testamento spirituale di Bobby Sands, attivista nordirlandese morto a 27 anni dopo 66 giorni di sciopero dalla fame, l’ennesimo, indetto per richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica sulla drammatica situazione dell’Irlanda del Nord e per vedere riconosciuto lo status di prigionieri politici ai volontari IRA detenuti nelle carceri inglesi.
Tempo fa avevo letto “Un giorno della mia vita”, libro-diario in cui il ragazzo riferisce degli abusi e delle sevizie a cui i prigionieri era sottoposti da parte dei secondini inglesi.
Un grido di libertà e di orgoglio pervadeva tutte quelle pagine, e proveniva da chi ha preferito morire per l’ideale di una patria libera.
Non è facile accostarsi ad una vicenda simile senza non essere assaliti da mille dubbi: esistono terroristi buoni e terroristi cattivi? Si potrebbe affermare con assoluta certezza che l’Irlanda del Nord fosse occupata militarmente dagli inglesi e che la guerra sanguinosa che contrappose l’Ira all’Inghilterra fosse a pieno titolo una guerra civile e che quindi legittimasse qualsiasi azione, anche l’uccisione di civili. E non avveniva poi lo stesso da parte inglese? Centinaia di persone, bambini e giovani, sono stati uccisi dai proiettili di gomma in dotazione all’esercito britannico, nonostante nella stessa Inghilterra fossero stati dichiarati illegali e ne fosse stato bandito l’utilizzo.
Però si può anche discutere come l’incancrenirsi del dialogo fosse dipeso dall’eccessiva durezza di entrambe le parti, nel voler cedere alla negoziazione , alla mediazione.
Il film “Hunger” del regista Steve McQueen, che racconta l’odissea umana e la morte di Bobby Sands, raccoglie tutti questi dubbi e delinea le varie sfumature di una vicenda tanto complessa.
È un film bellissimo, complesso, terribile. Nel leggere un libro il lettore ha sempre come filtro la propria fantasia, ma quando si diventa spettatori di immagini crude, violente, assolutamente fedeli al racconto originale, non ci si può più nascondere e si diventa nudi come i prigionieri colpiti a morte.
È un film quasi privo di dialogo ma che nelle espressioni del viso e degli occhi, nella magrezza spettrale e mortifera dei protagonisti, e in particolar modo di Fassbender, comunica tutta la rabbia, l’orgoglio, forse l’intransigenza al limite dell’umano, dei detenuti politici del carcere Long Kesh, tristemente noto come H -Block.
Come qualsiasi esperienza enpatica non è facile da trasporre a parole.Ognuno può porsi in maniera diverse davanti a delle immagini che sono un pugno nello stomaco. Però vanno viste, per riflettere, per non essere più gli stessi, per rendere  comunque omaggio a dei soldati che hanno combattuto per la libertà della propria martoriata terra.
J.

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