Cees Nooteboom: avevo mille vite e ne ho preso una sola.

 

 

 

Cees Nooteboom (L’Aja 31 Luglio 1933) è uno scrittore olandese, più volte candidato al Nobel.  Autore di romanzi, poesie, racconti di viaggio, è stato eccezionale testimone di alcuni momenti cruciali della storia europea, dalla rivoluzione ungherese al crollo del muro di Berlino. Rimasto orfano di padre a seguito di un bombardamento, da bambino è costretto a sfollare in campagna per via della Seconda Guerra Mondiale: si accosterà quindi, fin dalla più tenera età, al tema del viaggio e della fuga.

Dopo gli studi compiuti presso istituti francescani e agostiniani, inizia a girare il mondo, recandosi in Sud America come mozzo su una nave, e proseguendo successivamente il suo pellegrinare per il mondo in autostop. Proprio da questa esperienza autobiografica nasce, nel 1955, il suo primo grande successo letterario Philip en de anderen (“Philip e gli altri”) che, a soli ventidue anni, lo lancia nell’Olimpo dei grandi letterati olandesi. Il romanzo, considerato un’anticipazione degli ideali nomadi della Beat Generation, è la storia di un uomo che viaggia in autostop attraverso l’Europa sulle tracce di una misteriosa ed evanescente ragazza cinese, simbolo della felicità e dell’inaudito.

Il viaggio, insieme all’illusorietà del confine tra reale e immaginario, sono le chiavi indispensabili per accedere all’opera di questo grande intelletuale cosmopolita. La sua seconda opera De ridder is gestorven (“Il cavaliere è morto” 1963) è un’opera singolare, romanzo nel romanzo, che tratta di uno scrittore intento a completare il libro di un altro scrittore morto, complessa riflessione sulla narrazione stessa che sfocia nelle grandi opere Rituelen (“Rituali”), e Een lied van schijn en wezen (“Il canto dell’essere e dell’apparire”). Il primo è caratterizzato dalla fuga dal luogo reale che diventa una dimensione mentale, la seconda invece si articola su due differenti piani narrativi: quello reale dello scrittore che tenta di costruire un romanzo ambientato nella decadente Bulgaria fine secolo e quello dello scrittore che, dialogando con un collega, si interroga sul significato dello scrivere.

Nel 1982 esce il romanzo breve Mokusei! (“Mokusei”) un racconto in flash back di un fotografo olandese che ripensa alla relazione durata cinque anni con una modella giapponese, una semplice e intensa storia d’amore che richiama le atmosfere esotiche care a Nooteboom ma, allo stesso tempo, evoca il fascino del remoto, dell’irraggiungibile, del reale e irreale. La seduzione del viaggio rimane una costante nell’opera di questo “spettatore del mondo”, come egli ama definirsi, in quanto esprime, da un lato, quell’inesauribile sete di conoscenza mai paga nell’uomo di tutti i tempi, dall’altro rappresenta “un’occasione per star soli e riflettere su cosa scrivere”. Ne è prova il suo ultimo romanzo tradotto in italiano De Boeddha achter de schutting (“Il Buddha dietro lo steccato”) che è un viaggio, fra colori sgargianti e intensi profumi in una caotica Bangkok avente come guida d’eccezione il Buddha stesso.

Ho citato solo alcune della vastissima produzione di opere letterarie di questo “olandese errante”: umorista, drammaturgo, romaziere, poeta. Una delle voci più eclettiche e originali del nostro tempo che  non si è “limitato” a vivere intensamente una vita (per citare lui stesso: Avevo molte vite e ne ho presa una sola) bensì ne ha vissute tante contemporaneamente. Vite che si sono riflesse nella scrittura, in una continua ricerca di un “altrove”,  del viaggio come vita e ricerca di-in sé.

“ Appartengo sfortunatamente alla categoria di quelli che vogliono sempre vedere cosa c’è dietro la collina seguente e non ho ancora imparato che dietro c’è un’altra collina. Cos’è che mi aspetto in realtà (e da così tanto tempo?) “.

J.

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